giovedì 6 novembre 2014

PADRE UGO: L'AVVENTURA DELLA CARITA'

Parla il salesiano neo-novantenne e fondatore dell'Operazione Mato Grosso, uno dei più noti movimenti di volontariato sbarcati in Brasile.
La situazione dei religiosi nel mondo non è tra le più felici, tanto che Francesco, primo papa gesuita, ha deciso di dedicare un anno ad hoc (da novembre 2014 a tutto il 2015) alla vita consacrata.

Eppure esempi di santità diffusa, di suore coraggiose e di “pastori con l’odore delle pecore” ne esistono ancora. Il salesiano Ugo de Censi è uno di questi...


Nel 1967 ha fondato un movimento di volontariato tra i più noti in Italia: l’Operazione Mato Grosso: una realtà formalmente aconfessionale, ma nella quale sono confluiti migliaia di giovani cattolici, che si impegnano a servizio dei poveri e dei minori dell’America Latina. Dai primi venti ragazzi volati in Brasile ad aiutare padre Pedro Melesi, l’Omg è passata a 90 missioni in tutto il Sudamerica e circa 2000 volontari in Italia. Tra le esperienze “sessantottine” è una di quelle che continua con maggior vitalità; quanto alla testimonianza di fede, va ricordato che l’Omg ha dato alla Chiesa due martiri: il volontario laico Giulio Rocca, ucciso nel 1990, e don Daniele Badiali, rapito e ammazzato nel 1997, entrambi sulle Ande peruviane (del secondo è aperto il processo di beatificazione).

 Il 26 gennaio scorso padre Ugo ha compiuto 90 anni: l’energia non è più quella dei giorni migliori (ha dovuto lasciare le sua amate Ande e ora risiede a Lima per ragioni di salute), ma conserva ancora l’entusiasmo degli inizi. E ha deciso di aprire il cuore a Giulio Paletta, giornalista e fotografo, che su “Credere” di questa settimana firma un reportage tutto dedicato alla vocazione, alle crisi e agli slanci di questo prete, assai restio alle telecamere e ai taccuini dei giornalisti. Un uomo che ha passato – come recita il titolo - «40 anni sulle Ande cercando Dio».

La sua, all’inizio, è una storia come tante. Padre Ugo scopre la vocazione a undici anni ed entra dai Salesiani sulle orme del fratello maggiore, Ferruccio. «Ho conosciuto Don Bosco nei racconti dei salesiani. Mi ci immedesimavo. Leggevo i romanzi dei missionari e m’incantavano. A sedici anni mi hanno messo la veste talare. Ero un ragazzo che viveva solo di sogni».

Ma quando, dopo l’ordinazione sacerdotale, viene inviato al riformatorio di Arese, vicino a Milano, arriva la prima crisi di fede: «Stando con i ragazzi e soffrendo con loro, capii che, così com’erano, gli oratori non funzionavano più. Grazie a qui ragazzi, cominciai a capire cosa è davvero importante: vivere la carità, dare via un po’ di soldi e un po’ di tempo».

I dubbi e le tentazioni l’accompagnano anche dopo aver fondato l’Omg: «Mi ricordo ancora, un giorno stavo dicendo Messa, e alzando l’ostia al cielo ho cominciato a sentire questa voce fortissima dentro di me che mi ripeteva: “Non raccontare bugie, non c’è nessuno”. Di colpo non sapevo più dove andare, cosa fare. Ero a Chacas, sulle Ande peruviane. Mi dicevo: non ce la faccio più. La cosa più difficile è questa: sentire la voce del diavolo da cinquant’anni e voler sempre continuare».


Accanto alle difficoltà, le soddisfazioni enormi come educatore: «La cosa più bella è quando un ragazzo ti lascia vedere la sua anima, quando, come folgorato, si converte, viene e dice: io voglio dedicare la mia vita ai poveri, a Dio».


Oggi padre Ugo sa che presto toccherà ad altri assumere il timone della sua creatura. Lui ha solo una preoccupazione, che confida a “Credere”: «L’Operazione Mato Grosso è nata come un’avventura, e sempre rimarrà tale. È dal 1967 che viviamo senza regole. Dico sempre: “Quando io non ci sarò più, dovrete arrangiarvi. Fate attenzione, non fissatevi sulle regole, ma su Dio. Quando avete perso Dio avete perso tutto”».

Quanto al fatto che da un’esperienza aconfessionale come l’Omg, siano uscite tante vocazioni, il fondatore lo argomenta così: «È quasi inevitabile. Noi non chiediamo se credi in Dio o no. Tu lavora, fai la carità, e dopo vedrai che a un certo punto, aiutando i poveri, tu avrai bisogno di Dio, sentirai questa necessità, questo desiderio di conoscerlo. Fate attenzione – dico ai miei ragazzi - che la testa ci porta lontano da Dio. A Lui ci arrivi con il lavoro, con la fatica, le gambe, con le mani e con i piedi, camminando, donando la vita!».

tratto dal sito www.vaticaninsider.it

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