L'ospedale
è un signore grigio che vorrebbe andare in pensione. Si trova nel cuore della
città. A dieci minuti d'auto dalla Casa Circondariale. Glielo si legge in
faccia che è stanco e che non ne può più, ma non ha scelta: deve resistere.
Entro
che ancora ho il fiatone. Mi piace far girare veloci i pedali nelle budella del
centro storico. Schivare i passanti. Però questa volta è diverso. Non è un
gioco.
Mi
hanno chiamato con urgenza. L'infermiera al telefono aveva usato pochi giri di
parole:
-Abbiamo
ricoverato Jimmy, è in fin di vita, qua non c'è nessuno. Può venire?
-Certamente.
Arrivo subito. Rispondo.
Partirono
e il viaggio fu molto duro. Non si dormiva e si correva il rischio di rimanere
soffocati. Ma quando arrivò il giorno a illuminare i contorni del porto di
Bari, sorrise. E gridava a squarciagola insieme ai ventimila: I-ta-lia!
I-ta-lia! I-ta-lia! Scandivano ogni sillaba con impeto. Che impatto, che scena
emozionante. Sentiva che ne era valsa la pena: iniziava una nuova storia, per
sè e per la propria famiglia.
Jimmy
è un lenzuolo. Cioè Jimmy e il lenzuolo sono praticamente la stessa cosa. Un
soffio bianco esalato sopra il letto di un ospedale qualunque in un corridoio
grigio qualunque. Mentre mi avvicino sento che per me è una fortuna essere lì.
Come se non fossi io a condurre tutto quanto. Quasi che la vita mi stesse
accompagnando in un posto importante. Di quelli che poi non si scordano.
Esattamente come sulla Vlora. Sì, anche io sono in balìa del mare, sulla Nave
Dolce. Devo solo avere il coraggio di aggrapparmi, tenermi stretto, poi sarà
lei a condurmi verso terre mai viste prima. Del resto si sa, non si è mai
abbastanza pronti per affrontare un viaggio.
La
prima volta che incontrai Jimmy era ubriaco e mi fece abbastanza ribrezzo.
Tecnicamente io ero un operatore sociale della Caritas alle prime armi,
responsabile di una struttura che tutti conoscono con il nome di Centro di
Ascolto. I volontari me lo avevano descritto come uno tra i più
"pericolosi" e "ingestibili" frequentatori incalliti del
centro. Era da poco tempo uscito dal carcere. Quando mi vide tentò di spaventarmi
con parole grosse e un tono di voce arrogante. Voleva dei soldi. Un po' mi fece
tenerezza e decisi di capire quale sofferenza ci fosse dietro quell'uomo.
-Posso
venire a vedere dove abiti? Gli chiesi.
-Neanche
gli animali vivono dove sto io. Rispose.
Il
giorno dopo arrivai puntuale all'appuntamento. Di fronte a una vecchia
concessionaria d'auto abbandonata. Mi disse che era contento di vedermi, che
non credeva sarei andato veramente. Per raggiungere il luogo in cui viveva,
siamo dovuti passare attraverso le inferriate della fabbrica, che si trovava
ribassata rispetto al livello della strada, in un punto dove erano state
visibilmente forzate. Da lì ci siamo calati, appoggiando i piedi sopra una
sedia, per poi arrivare finalmente al pavimento. Era pieno di vetri rotti,
rifiuti e calcinacci che si erano staccati dal soffitto. In fondo alla
struttura c'era una stanzina con l'insegna "toilette". Lì dentro
c'erano un vecchio materasso, dei vestiti ammucchiati e qualche candela. La sua
casa.
-Tu
vivi qui dentro?
-Si,
ti prego, aiutami. Non ce la faccio più.
E'
inutile illudersi: fra poco Jimmy morirà. E io non potrò fare nulla se non
stargli vicino, fargli un po' di compagnia. Volergli bene. Che non è una cosa
scontata. Ho dovuto imparare a volergli bene. Quando ancora era in salute,
appena uscito dal carcere, per come si presentava era la sintesi perfetta di un
uomo odiabile: arrogante, permaloso, violento, bugiardo, opportunista, per di
più amante del Tavernello rosso in cartone, che andava ad amplificare
terribilmente tutti questi aggettivi fastidiosi. Adesso invece è come un
neonato. Indifeso. Dopo due anni di lunga malattia è come se ogni singola
cellula del suo corpo stesse scomparendo. Per fortuna gli effetti della morfina
lo aiutano a soffrire meno. E' sveglio. Non riesce a parlare, ma mi guarda. Con
affetto.
-Ciao
Jimmi. Gli dico.
Cercai
una soluzione concreta al suo problema: non poteva continuare a vivere in
quella latrina. Pensai a una roulotte. Anzi, un amico me la propose. Non era di
certo il massimo, ma intanto poteva andare bene e Jimmy accettò molto
volentieri. Così, in qualche modo iniziò un'amicizia. O forse qualcosa di più.
Nel tempo diventai come un figlio per lui. E un po' alla volta mi raccontò la
sua storia. Gli anni del regime, la fuga dall'Albania, l'arrivo in Italia,
l'illusione di aver trovato l'America. Ma le cose non andarono proprio come se
le era immaginate. Da una parte la difficile integrazione nel Nuovo Mondo,
cultura e abitudini molto distanti rispetto a quelle di Tirana; dall'altra il
suo pessimo carattere e l'abuso di alcol fecero precipitare la situazione.
Jimmy
lo sapeva. La colpa era solo sua. Aveva rovinato tutto con le proprie mani.
Quelle mani piene di rabbia che lo incatenarono più volte sotto il municipio
per protestare contro il Sindaco che non gli dava una casa più grande. Quelle
mani oltraggiose che aggredivano le assistenti sociali del Comune incapaci di
trovargli un lavoro. Quelle stesse mani, forti e ciniche, che una notte
colpirono sua moglie. Era tornato a casa ubriaco. Gli occhi dei suoi figli,
spaventati, videro tutto. Qualcuno chiamò la Polizia. Lo arrestarono.
Rimango
vicino a lui, in silenzio. Non so per quanto tempo, forse dieci minuti. Vorrei
parlargli. Per farlo stare tranquillo. Vorrei potergli dire che andrà tutto
bene, che presto guarirà. Ma sto zitto. Le parole non mi vengono proprio. Devo
andarle a pescare da qualche parte. Estrarle con forza. Sento che devo farlo.
Con la bocca un po' asciutta per la tensione gli chiedo una cosa molto precisa.
Pronuncio una frase che mi ero preparato in tutta quell'attesa, la migliore che
ero riuscito a tirar fuori.
-Jimmy,
la vuoi fare quella cosa lì?
Mi
ha risposto subito. Non aveva bisogno di pensarci o di capire. Ha detto di sì
con la testa. Guardandomi negli occhi. Serenamente complice. Consapevole del
peso delle sue parole.
-d'accordo,
torno fra poco. Gli dico.
In
carcere rimase per più di quattro anni. Quel che basta per diventare ancora più
cattivi e pieni di rabbia. Fallito ogni tentativo di ri-educazione del
detenuto. Nessun sconto di pena e divieto assoluto di avvicinamento alla sua
famiglia. Una volta fuori non aveva più nulla. Non aveva più nessuno e si
rifugiò nel vino. Perfetto scarto della società. Non gli rimase che la vita di
strada. Una vita dura, disumana, che nessun uomo meriterebbe di fare e che alla
lunga ti mette alle corde. Così un giorno mi riferì che i risultati delle
analisi erano positivi.
-Ecco
perchè non mi sentivo bene. Ho un cancro ai polmoni, ma io non mi arrendo, mi
disse, lo ammazzo io, sono più forte.
Ancora
una volta emergeva la sua sfrontatezza di uomo pieno di orgoglio, arrabbiato
con il mondo. Ci sono voluti due lunghi anni per la resa finale. Due anni di
visite, chemioterapia, tac, dolori, medicine...poi il ricovero in una struttura
sanitaria privata che lo ha accolto con vero spirito di carità. E Jimmy si è
arreso non tanto alla malattia, quanto all'idea di rileggere tutta la propria
vita. Da capo. E togliere l'odio, montagne di odio, incrostazioni e
risentimenti. Raccontare la rabbia, ma per darle un senso, non più per fare o
farsi male. Trovare il coraggio di richiamare i figli, che nel frattempo erano
diventati grandi e che si sono commossi nel vederlo morente. Ho trascorso tanto
tempo con lui, a parlare, a confrontarmi, a cercare di trovare uno spiraglio,
anche se piccolo. Per poter dire che nonostante tutto, la vita è una cosa
meravigliosa e fino all'ultimo istante hai la possibilità di vederla come un
dono e non più come uno sgarbo del destino. Fino al giorno in cui Jimmy,
provato dal dolore, ma anche arreso a quel pulviscolo di bontà depositato
nell'anima mi disse:
-Come
posso fare la pace con Dio?
Vado
verso un distributore automatico. Metto dentro un euro e schiaccio il pulsante
dell'acqua naturale. Torno da Jimmy con la bottiglia. Mi ritrovo a pensare a
don Bosco. A quando incontrava i ragazzi di strada per le vie di Torino.
Giovani orfani, abbandonati, ignoranti, poveri, senza più niente e nessuno. Don
Bosco stava in mezzo a loro, condivideva i loro giochi e per parlargli di Dio
non aveva bisogno di chissà quali formule, perchè non lo avrebbero capito. Ma
dire un Pater Ave Gloria non era poi così difficile. Ed era a partire dalle
cose semplici che li conduceva a vivere cose più profonde. Jimmy è come uno di
loro. Povero di spirito, vagabondo della vita, così lontano dalla conoscenza
della verità e dalla comprensione dei dogmi.
Dopo
avergli chiesto il permesso inizio a recitare quelle poche preghiere. Lui, col
suo filo di voce, muovendo a stento le labbra, ripete con me.
-Ave
Maria...Padre Nostro che sei nei cieli...Gloria al Padre e al Figlio e...
Adesso
mi tremano un po' le mani.
Fare
la pace con Dio. Quella frase me l'ha ripetuta varie volte, in diversi
incontri: dopo aver fatto la pace con la propria vita e con se stesso sentiva
un bisogno più profondo. Fare la pace con Dio. Ogni volta era come se la
consapevolezza di voler ricevere un perdono più grande aumentasse, di pari
passo con l'aggravarsi della sua malattia. Trovare una roulotte era stato
facile, ma questa richiesta voleva una risposta più importante. Chiesi aiuto a
un amico sacerdote. Mi disse che nonostante Jimmy non fosse cristiano,
chiedendo il sacramento del Battesimo avrebbe ricevuto la Grazia del perdono
dei peccati. Così come solitamente avviene per i bambini.
Stavo
per fare una cosa molto più grande di me. Una delle più importanti della mia
vita. Che non mi sarei aspettato di
vivere. Jimmy me lo aveva chiesto chiaramente qualche giorno prima, ma in quel
momento non c'era tempo di andare a cercare un sacerdote. La chiamata era
giunta improvvisa e sentivo che poteva spegnersi da un momento all'altro.
Presi
il tappino della bottiglia, gli misi qualche goccia d'acqua e gliela versai
sulla fronte dicendo piano:
-Jimmy
io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Lui
sorrise appena, aveva gli occhi pieni di felicità.
Lo
segnai sulla fronte, sulle labbra e sul petto.
Silenzio.
A
quel punto fu lui a prendere l'iniziativa e con le ultime forze che gli
rimanevano alzò il suo braccio per due volte per fare anche a me il segno della
Croce sulla fronte.
Che
potenza quel gesto. Era la sua benedizione per me.
Poi
entrambi capimmo che non rimaneva più niente da fare.
Solo
aspettare.
La
vita attorno a noi procedeva come sempre. Passi nei corridoi, sorrisi,
preoccupazioni, affari, fiori, caffè...
Pensavo
a quella citazione che ogni tanto Jimmy mi ripeteva: "C'è un disegno
dietro ogni cosa".
Mi
dava speranza.
Ormai
non mi guardava più veramente.
I
suoi occhi e la sua mente erano già proiettati altrove.
Dopo
tanto dolore Jimmy voleva la pace.
Chiuse
gli occhi e non li riaprì mai più.
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